Padre Stefano esulta: vinto il contributo per Korogocho

Padre Stefano Giudici

Tre anni in vetta alla classifica dei progetti sociali più votati all’interno del concorso ING Solidarity Awards indetto dall’omonima banca lussemburghese. E ora un quindicesimo posto che, comunque, permette a Padre Stefano Giudici di esultare, visto che il contributo di 1000 euro era garantito ai primi 40 classificati. Il missionario comboniano di Villa Guardia quest’anno insieme all’associazione North South Cooperation aveva presentato un progetto per il centro di riabilitazione di Kibiko, a Nairobi, dove vengono ospitate le persobe che cercano di rinascere dopo esperienze drammatiche vissute nella baraccopoli di Korogocho.

Per spiegare meglio cosa avviene all’interno del centro residenziale di recupero di Kibiko riportiamo di seguito una bella intervista realizzata da Radio Vaticana ( a cura di Davide Maggiore). La potete leggere, oppure ascoltare (cliccando sull’icona azzurra), sentendo direttamente dalla voce del missionario di Villa Guardia i dettagli del progetto a cui sta lavorando e che coinvolge religiosi e operatori sociali, dedicano tutta l’attenzione a ragazzi e adulti che arrivano dalla baraccopoli di Korogocho. Tra loro, particolare attenzione va a quanti hanno problemi di dipendenze da alcol e droga

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R. – E’ una delle piaghe più grandi, sicuramente, nella baraccopoli di Korogocho. Addirittura, c’è gente lì che viene a vivere per l’accesso facile all’alcool, essendo illegale. Non dobbiamo pensare al nostro vino, alle nostre birre, ma a una porcheria che ha degli effetti devastanti sull’organismo, soprattutto se preso in dosi massicce e continuate. Stiamo cercando, quindi, di affrontare questo problema e diamo la possibilità a questa gente di iniziare un cammino di riabilitazione, di recupero, che per noi significa semplicemente ritornare a vivere.

D. – Qual è l’approccio che seguite?

R. – E’ diviso sostanzialmente in tre fasi. Il primo è proprio il lavoro di strada, fatto dai nostri operatori sociali – che sono tutti di Korogocho – con l’alcolizzato, che viene invitato in un centro diurno. Normalmente, gli alcolisti hanno un incontro quotidiano durante il pomeriggio per un cammino di riabilitazione. Quando la persona mostra segni d’interesse, di cambiamento, allora si inizia un cammino più approfondito che può portare alla permanenza nel centro residenziale, quello di Kibiko, che dura circa tre-quattro mesi, dipende dai casi. Questa sarebbe la seconda fase. La terza fase è l’aftercare, cioè si colloca dopo la riabilitazione. Noi, fin dall’inizio, lavoriamo con le famiglie, cerchiamo di potenziare le famiglie e di formarle. In molti casi, è proprio una riunificazione quindi cerchiamo anche di seguirli, una volta reinseriti nelle famiglie, con piccolissime attività commerciali, in modo che possano avere qualcosa da fare, e li invitiamo sempre ovviamente a continuare gli incontri degli alcolisti anonimi.

D. – La filosofia del vostro progetto è ben riassunta da quello che è il motto: “Vogliamo vivere”…

R. – Un esempio, secondo me bellissimo, che riassume bene tutto, è quello di una delle nostre operatrici sociali che nel 2010 è passata lei stessa per il programma di riabilitazione e da lì ha iniziato un cammino nuovo, tanto che è stata battezzata a Pasqua e poco tempo fa ha ricevuto la Cresima. Adesso, vuole impegnarsi per tornare a scuola: è una vita che rifiorisce laddove sembrava morta.

D. – Non si tratta, però, di un cammino solo individuale…

R. – No, la nostra filosofia, il nostro obiettivo, il sogno in cui crediamo tantissimo, è dare agli individui delle possibilità, degli stimoli, ma invitarli anche a reinvestire quello che loro hanno ricevuto come individui nel cammino della comunità, in modo che non sia soltanto uno che ce la fa, che esce e si salva, ma che davvero tutti insieme si possa cambiare dall’interno questa realtà drammatica, che è la baraccopoli africana.

D. – Come entra in questo processo il vostro impegno per l’evangelizzazione e cosa vuol dire, più in generale, evangelizzare in un contesto come quello della baraccopoli?

R. – Evangelizzare è portare la buona notizia di Gesù Cristo. E la buona notizia è quella che siamo amati indipendentemente da quello che succede nella nostra vita, anzi i più diseredati, i più sconfitti sono quelli amati – se si può usare questa parola – ancora di più. Ed è quello che cerchiamo di fare: portare l’annuncio in modo integrale. C’è, quindi, il Vangelo, c’è la Dottrina sociale della Chiesa, c’è ovviamente l’analisi del contesto in cui siamo. Il cammino è quello di chi prende in mano la sua vita e si prende cura anche della comunità e degli altri.